Sabato 25 novembre 2017 si celebra la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
Fu istituita nel 1999 dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite.
La data fu scelta da un gruppo di donne attiviste riunitesi nel 1981 per l’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi in Colombia, in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime del dittatore Rafael Leónidas Trujillo.
La violenza sulle donne è tra le violazioni dei diritti umani più diffuse al mondo. E’ violenza lo sfruttamento sessuale, la violenza psicologica, i maltrattamenti, il lavoro forzato, la riduzione in schiavitù.
Nell’ambito del fenomeno migratorio, la tratta rappresenta una estrema forma di violenza contro le donne . Negli ultimi anni all’interno dei flussi di richiedenti asilo è stata rilevata una presenza sempre maggiore di vittime di tratta. Così la normativa in materia di protezione internazionale ha riservato una maggiore attenzione alle forme di violenza come atti persecutori nei confronti delle donne.
Nel 2006 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) nelle “Linee guida di protezione internazionale” ha evidenziato come le donne vittime di tratta possano ottenere lo status di rifugiato sulla base del Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e minori (del 2000, entrato in vigore a fine 2003), che obbliga gli Stati a considerare la necessità di protezione internazionale delle vittime di tratta.
In Italia la normativa di riferimento, che ha accolto le indicazioni della direttiva dell’Unione Europea 2011/36/UE, è il decreto legge 24 del 4.3.2014 nel quale si dispongono (art.10) misure di coordinamento tra le Amministrazioni che si occupano di tratta e asilo con l’obiettivo di individuarne le vittime e consentire loro di far richiesta di protezione internazionale.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), nel rapporto “La tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo centrale”, stima che circa l’80% delle migranti nigeriane arrivate via mare nel 2016 sia probabile vittima di tratta destinata allo sfruttamento sessuale in Italia o in altri paesi dell’Unione Europea.
Secondo l’OIM le donne di nazionalità nigeriana sono fra le più a rischio di essere vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, anche se non si può escludere che anche migranti di altre nazionalità siano coinvolte nel traffico.
Considerando l’esponenziale incremento di donne di nazionalità nigeriana che ha caratterizzato i flussi del 2016, emerge con tutta evidenza il fatto che il numero delle potenziali vittime di questo odioso crimine sia più che raddoppiato rispetto agli anni passati.
Numerosi dei casi in cui è intervenuta la protezione internazionale hanno proprio riguardato donne nigeriane vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale.
Ecco la testimonianza di F. 28 anni arrivata in Italia dalla Nigeria.
Ho 28 anni e vengo da una città piccola della Nigeria.
Io sono Ibo. Sono nata a Abuja ma sono cresciuta in altro posto con mia mamma.
Ho sette sorelle e un fratello, io sono la penultima. La mia famiglia era povera.
Veramente io sono cresciuta con mia sorella più grande, che chiamo mamma, perché
la mia vera mamma è morta quando avevo sei anni. Quando è morta mia mamma
è successo che la sorella più grande ha preso la mia sorellina più piccola di tre anni,
e la seconda ha preso me. Lei era sposata, suo marito prima aveva un’altra moglie
e un sacco di figli, poi hanno litigato e si è sposato con mia sorella. In casa in pratica
eravamo mia sorella, suo marito, i loro sei figli (tre maschi e tre femmine), io, più
gli altri figli della prima moglie di lui… Una grande famiglia, tante bocche da sfamare.
Mia mamma aveva un negozietto mentre suo marito lavorava come camionista. Non
tutti andavamo a scuola, qualcuno vendeva le cose, altri imparavano un mestiere
ma quando lui è morto nel 2004 tutti abbiamo dovuto aiutare e lasciare la scuola. Io
ho fatto sei anni di scuola, la primaria, ho dovuto lasciare perché non c’erano più
soldi. Poi ho lavorato dove stava lavorando il marito di mia sorella, vendevo i sacchetti
di acqua, ogni giorno mi mandavano a vendere nei negozi 220 sacchetti, io dovevo
vendere tutto e quello che rimaneva era mio. E poi ho imparato da sola il mestiere
di parrucchiera, lo so fare… Il mio sogno era aprire il mio negozio di parrucchiera
ma non avevo soldi. Un giorno mi chiama mia sorella e mi dice: “Helen, se qualcuno
ti dice che ti porta in Europa così puoi guadagnare e aprire il tuo negozio, tu ci vai?”
“Come no! Voglio andare!” Io ero così contenta, contenta! In due settimane hanno
preparato tutte le cose, mi hanno detto che il viaggio era in aereo, invece non era
vero, abbiamo fatto il Marocco via terra… Io conoscevo queste persone, ma erano
di fuori. Avevo 17/18 anni quando sono andata via, mia mamma non mi aveva detto
che poi io avrei dovuto pagare tutti quei soldi… Io ormai ero grande e dovevo aiutare
la famiglia. Sono arrivata in Marocco ma non so dirti quanto tempo ci abbiamo
messo, forse 4 mesi, in macchina, a piedi, in treno… ma non come passeggeri,
seduti, ma nascosti nel carico. Era il 2004. Eravamo tredici ragazze, alcune più
grandi altre più piccole di me, e due uomini che ci controllavano, non si poteva scappare.
Io ero contenta quando sono partita perché sognavo il mio negozio in Europa.
Ma quando sono arrivata in Marocco ho capito che erano tutti bugiardi. Nella borsa
mi ero portata [dice il nome di un integratore che si vende in Nigeria], biscotti,
maglie, calze… nessuna foto, nessun oggetto particolare perché pensavo che magari
dopo qualche settimana o qualche mese sarei tornata. Ricordo solo Niger, Mali, Algeria
e Marocco… Io non so niente di come siamo passati, i documenti, le frontiere,
niente…. Dormivamo nelle case abbandonate, nel deserto, ho visto persone morte,
mancava acqua… tante ragazze piangevano che volevano tornare a casa, dicevano:
“Non mi hanno detto che era così…”Quando siamo arrivati a Casablanca, siamo
stati tre mesi in una casa dove c’era un uomo. Lì non ci trattavano male. Secondo
me uno di quei nigeriani abitava lì in Marocco e si occupava di andare a prendere
le ragazze in Nigeria. Sono arrivati i soldi da lei [maman che stava in Italia] per me
e io sono stata la prima a partire per l’Europa, ho lasciato lì tutte le altre ragazze.
Sono partita con il fratello della maman, dovevamo per forza passare per la Spagna
per mare… Ho chiamato mia mamma e le ho detto: “Se mi vuoi bene non mi dire di
andare via mare” perché io ho il terrore del mare… Da Casablanca abbiamo camminato
un po’, poi in taxi, poi in macchina fino a Melilla… lì mi hanno respinto sette
volte. Perché lì ci sono dei posti di blocco di arabi che dovevi pagare. Io viaggiavo
nascosta sotto la macchina, nel motore, avevo pure le mestruazioni, poi una volta
dietro nel portabagagli… L’arabo che mi accompagnava diceva che ero una cattiva
ragazza perché le altre ragazze passavano subito. Alla fine sono riuscita ad entrare
ma da un’altra parte, abbiamo passato lo stretto e io ero nascosta nella macchina
che stava sulla nave, così non ho visto il mare… Sono stata a Melilla nove mesi, in
un campo [per immigrati], lì mi hanno registrato ma non ho chiesto asilo. Lì ho anche
studiato, ho fatto la scuola di spagnolo e ho preso il diploma [attestato]… Io lì ero
sola e dopo 8 mesi è venuto lui a prendermi, il fratello della maman. Se io avessi
saputo che avrei dovuto pagare sarei scappata, anche senza documenti, non sarei
venuta in Italia… Non lo sapevo che sarei venuta a soffrire. L’Europa non era il mio
sogno, io non sapevo neanche che esisteva. Quando mi hanno fatto uscire dal campo
mi hanno portata con una nave fino a Madrid. Mi hanno detto: “Dove vuoi andare?
Hai qualcuno lì?” “Sì, quello che mi viene a prendere, mio fratello, ecco il numero”
E l’hanno chiamato che era a Barcellona. Allora mi hanno messo in pullman per andare
da lui. A Barcellona mi avevano già fatto tutto, il passaporto… abbiamo preso
l’aereo fino a Milano Malpensa e lei è venuta a prendermi con suo marito italiano
mentre il fratello è tornato indietro in Spagna. Siamo andate a casa, tutto bene, mi
ha fatto pure la treccia… io ero così contenta! Poi il giorno dopo mi chiede: “Quando
vuoi iniziare a lavorare?” “Anche subito”. Il giorno dopo mi sveglia alle 4 e mezza…
“Che andiamo a fare a quest’ora?” Abbiamo fatto la doccia e poi abbiamo preso tre
treni, perché noi abitavamo a Milano ma io lavoravo a Varese… Quando siamo
arrivate là mi ha detto: “Tieni, metti questa” “Ma che metto questa, io ho vergogna”
“E come lavori se hai vergogna” “Ma il mio lavoro non è di vergogna, è di mano”
“Chi ti ha detto che vieni a fare i capelli? Ti hanno detto così altrimenti tu non partivi,
rimanevi lì a soffrire. Io ho fatto questo e pure tu devi fare questo”[ride con amarezza].
Ma ancora non sapevo quanti soldi dovevo restituire. I primi tempo io lavoravo
20/30 euro, non sapevo, non parlavo la lingua, solo un po’ di spagnolo… Dopo qualche
tempo mi dice che dovevo darle ogni mese 500 euro, più 250 per l’affitto, anche
se dormivo sul divano e lei in stanza (tutto l’affitto era 350 e io pagavo 250), più 50
euro a settimana per il cibo, più 150 euro al mese per pagare dove lavoro [marciapiede]
più le bollette… In casa eravamo solo io e lei. Dato che vedeva che io non lavoravo
come voleva lei e che non portavo tanti soldi, mi ha mandata a Foggia da
una sua amica che vive lì (…) Poi iniziato a lavorare a Torino, tutti i giorni prendevo
il treno da Milano e tornavo. Una sera eravamo sette ragazze attorno al fuoco perché
faceva freddo e viene la polizia, io non avevo paura perché sapevo che la polizia lì
non ci faceva niente, solo passavano e chiedevano: “Come state ragazze? Qualcuno
vi ha fatto male?”. Quella sera però loro cercavano due ragazze che vendevano
droga facendo finta di prostitution, io non lo sapevo, le altre ragazze sono scappate
ma io sono rimasta lì tranquilla. Allora mi hanno arrestata. Dopo due giorni la polizia
mi ha rilasciata: “Scusa, abbiamo sbagliato, cercavamo un’altra ragazza”. Un amico
di Torino mi è venuto a prendere, mi ha comprato dei vestiti, mi ha portato a casa
sua a fare una doccia… Così sono tornata a casa a Milano, mi ricordo che era giovedì
e c’era il mercato. Ho visto lei [maman] che stava al mercato, l’ho salutata: “Buongiorno”
ma non mi ha risposto perché mancavo da tre giorni. Sono arrivata a casa,
ho preparato da mangiare, ma quando lei è arrivata ha buttato tutto per terra (…) E
ha iniziato a picchiarmi. Io allora sono andata in bagno a farmi una doccia, facevo
finta che volevo andare a lavoro. E invece sono scappata dalla finestra (…) Io non
parlavo con nessuno, perché se io ti dico cosa ho sofferto, cosa ho passato, tu non
puoi fare niente… e allora perché devo dirtelo… non parlavo, volevo stare sola. Mia
mamma mi diceva: “Tranquilla, vedrai che finirà” (…) A febbraio di questo anno
sono scappata di nuovo in Francia quando lei [maman] mi ha rintracciata dicendomi
che non era finita, non c’è finished, che dovevo darle 25.000 euro. Perché io ancora
non ho pagato… “Tu puoi nasconderti ma non puoi scappare perché non hai documenti!”
(…) Volevo fare la denuncia ma mi hanno detto che dovevo farla in Italia e
mi hanno rimandato a Roma… Prima però ho detto che mi devono promettere che
se faccio la denuncia in Italia lei non sa niente che sono stata io… perché ho paura
per la mia famiglia. Mia mamma la conosce e se io adesso la chiamo dicendole che
voglio fare la denuncia, lei sviene… Io non l’ho ancora fatta la denuncia… Spero di
poter avere i documenti in altro modo, con il ricorso per l’asilo.
Testimonianza è tratta dal testo “Sguardi e memorie di umanità in fuga. Storie di richiedenti asilo e rifugiati accolti nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati” (2017), Sprar – Cittalia, a cura di Emiliana Baldoni e Monia Giovannetti, (pp.59-62).
Link al testo “Sguardi e memorie di umanità in fuga”
Link al rapporto “Vittime di tratta e richiedenti/titolari di protezione internazionale”
Link alla ricerca OIM “La tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo centrale”
Foto: particolare dal sito www.noicambiamo.it policy
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